Rudolf Laban e la sua filosofia sulla danza
La Danza secondo Rudolf Laban

la filosofia di Rudolf Laban
Come disse Mary Wigman, il nome di Rudolf Laban segna l’inizio di una nuova era nella storia della danza. Teorico e creatore, poeta e scienziato, studioso e artista: il lavoro coreografico di Laban non potrà mai essere dissociato dalla sua attività sistematica di elaborazione concettuale del movimento. Con Laban, la danza teatrale costruisce la sua teoria. Con Laban, la danza libera inizia a segnare concretamente il nostro secolo: visto che è proprio Laban, per primo, ad ampliare all’infinito le possibilità espressive della danza teatrale, al di là degli stereotipi accademizzanti di un unico codice.
Laban mira essenzialmente a una spiegazione del movimento in termini razionali; ma affronta questa problematica da poeta, da coreografo attivo e operante, ponendosi, di volta in volta, di fronte a interrogativi e a risposte che trovino anche una realizzazione sul piano pratico.
Secondo Laban, esiste un rapporto diretto e costante tra la motivazione di un gesto (o movimento) e la sua effettiva espressione: questo rapporto può definirsi, nella sua prospettiva, in termini quasi matematici. La sua ricerca si volge quindi a rintracciare l’esistenza del nesso imprescindibile che lega la sorgente volitiva del movimento al movimento stesso: soltanto un’ analisi di questo tipo, sostiene Laban, può far cogliere l’intimo significato della danza, del come e del perché il movimento si trasfigura in un messaggio estetico-drammaturgico.
Laban giunge a definire la significatività del gesto mediante la classificazione dei movimenti in centrifughi (dal centro verso la periferia, gli arti) e centripeti (dagli arti verso il centro, il tronco), distinguibili attraverso quattro condizioni che li rendono manifesti:
1) l’uso di una particolare zona del corpo, la zona che si muove;
2) la direzione del movimento del corpo nello spazio;
3) il ritmo di sviluppo della sequenza motoria e il tempo in cui viene eseguita;
4) la posizione degli accenti e l’organizzazione delle frasi.

filosofia Rudolf Laban
In tal modo, ogni movimento sarà descrivibile per mezzo della specifica parte usata, dell’orientamento spaziale, della velocità del movimento e della quantità di energia muscolare impiegata. La base per ogni distinzione, tuttavia, deve essere l’acquisizione di partenza, secondo la quale l’arte del movimento (danza e mimo) ha la sua radice nella ritualità che il gesto acquista nella storia dell’umanità, dove l’azione dinamica si esprime sempre come lavoro oppure come adorazione della divinità. Ciò per quanto riguarda l’origine. Questo significa che per dare una base all’insegnamento della danza (la quale, a differenza del mimo che è semplicemente descrittivo, è simbolo, allegoria: rappresenta, cioè, una trasfigurazione significativa che evoca un’immagine, (anziché riprodurla), va tenuto presente innanzitutto questo rapporto del movimento con il rituale umano, che è lavoro e preghiera. Ogni figura danzata dovrà quindi originarsi come trasfigurazione allegorica di un’azione utilitaristica, e ciò in quanto la danza può acquistare un significato espressivo immediato solo nel momento in cui stimola l’evocazione stessa dell’esistenza, che è rituale pratico, rituale mistico: in ogni caso volontà di raggiungere uno scopo, immanente o trascendente che sia. A tutto ciò presiede il suono, che si esprime come linguaggio e come musica. Nell’arte, il suono del linguaggio si trasfigura in poesia, e con l’aggiunta del movimento espressivo nasce il dramma, il teatro. Nella danza è il corpo stesso che fa vivere in sé la musica, la fa scaturire dal proprio ritmo motorio. Il ritmo è l’elemento fondamentale. Il corpo del danzatore ne è il veicolo, e può esserlo anche autonomamente, senza bisogno di nessun altro supporto (Laban ha voluto dare applicazione pratica di questa sua concezione creando alcune coreografie senza musica). Sulla base ritmica del movimento, il danzatore trasfigura in simbolo la realtà dell’esistenza, che è tensione volitiva verso uno scopo trascendente o immanente. Laban, in questo modo, può giungere a definire il nesso costante tra necessità interiore e movimento. La danza, dal suo punto di vista, ne risulta come evocazione degli eterni rituali dell’umanità, da una parte, e intimo rapporto con la natura attraverso il ritmo dall’altra. La fisica infatti ci insegna che qualsiasi corpo reale ha in comune con tutto il resto due particolarità: il suono e il moto. Ogni composto attivo della natura si muove ed emette un suono: il ritmo è basato su entrambe le attività.
Così, grazie a Laban, la nuova danza del Novecento costruisce la propria teoria, dando fondamento sistematico alla pretesa di riflettere, al di là dello spiritualismo disincarnato del balletto classico, il senso stesso del vivere pratico e interiore. La danza è trasfigurazione del movimento, che nel suo realizzarsi conserva il senso pieno di quella concretezza che ne costituisce la fonte: senza sublimazioni estetizzanti fini a se stesse.
Nella formazione di questa nuova prospettiva, che prende le distanze da qualsiasi accademismo, sono fondamentali le considerazioni di Laban sull’armonia del corpo in rapporto allo spazio in cui si svolge il movimento. La danza classica impone all’esecutore una sequenza di movimenti che traccino nello spazio una linea ideale concepita dal coreografo in base a una struttura formale predefinita. L’orientamento nello spazio non scaturisce quindi dal movimento del corpo, perché il corpo è solo lo strumento atto a riprodurre una forma aprioristicamente stabilita.
Con la codificazione delle dodici direzioni del moto, Laban rivoluziona totalmente la concezione estetica di tipo accademico. Si serve, per chiarire tale codificazione, di una figura geometrica esemplificativa: l’icosaedro, ossia un solido regolare costituito da venti triangoli equilateri che si incontrano in dodici punti a destra e dodici a sinistra. La figura prescelta racchiude in sé tre dimensioni spaziali: lunghezza, larghezza e profondità. Analogamente, il corpo umano si muove in tre direzioni: in senso verticale (dall’alto verso il basso o viceversa), in senso orizzontale (da destra a sinistra o viceversa) e nel senso della profondità (avanti e indietro). Le due parti simmetriche del corpo umano, destra e sinistra, possono compiere nelle tre dimensioni una gamma di movimenti la cui direzione nello spazio può essere sempre stabilita mediante la definizione dei punti d’incontro (dodici per la destra e dodici per la sinistra) delle venti facce triangolari dell’icosaedro, i quali punti costituiscono gli estremi delle linee tracciate dal movimento del corpo nello spazio. Così Laban può ricostruire le forme geometriche del movimento naturale servendosi delle ipotetiche diagonali segnate dal moto, che congiungono i punti da cui si parte o verso i quali si va: le diagonali corrispondono alla struttura anatomica e simmetrica dei movimenti umani.
In tal modo, alla statica della danza accademica (in cui la successione di passi, salti, giri, pose e combinazioni varie avviene sempre in senso planimetrico, quindi soltanto in otto direzioni), Laban contrappone una concezione stereometrica (oltre che ritmico-dinamica) del movimento. La codificazione del movimento in base alle sue dinamiche generatrici (le dodici direzioni offerte dalla tridimensionalità dell’icosaedro) in impulso monodimensionale (Impuls), in tensione-distensione bidimensionale (Spannung-Entspannung) e in slancio tridimensionale (Schwung), amplia così all’infinito il raggio di possibilità espressive del movimento.

La coreutica Rudolf Laban
Questo sistema labaniano (la Coreutica), oltre a costituire un sistema pratico di iscrizione dei movimenti nello spazio, è rivelatore di una concezione del rapporto con lo spazio radicalmente opposta a quella del balletto classico-accademico: se infatti si concepisce lo spazio a partire dal corpo, è il danzatore stesso che crea i propri limiti, il proprio spazio personale di movimento. I termini ne risultano capovolti: il moto non può venire imposto da direzioni prefissate secondo un unico codice, perché è dal moto stesso che scaturisce la direzione. Non c’è un’estetica a priori che definisce lo spazio e ne impone i limiti al corpo, ma è il corpo che crea il proprio spazio e lo definisce.
Non solo: proprio nelle basilari coordinate del sistema labaniano (partendo dalla fondamentale distinzione tra la danza accademica, considerata disciplina di posizioni, e la danza libera, che è invece disciplina di movimento), sono già pienamente riconoscibili alcuni dei principi essenziali delle varie tecniche di danza moderna. Basterebbe soltanto la classificazione labaniana dei movimenti «principali», ossia i movimenti centripeti (di concentrazione e accumulazione di energia) e i movimenti centrifughi (quelli che partono dal centro del corpo verso l’esterno in un’esplosione impulsiva o in un’estensione controllata), per determinare quelli che saranno i principi di partenza delle massime tecniche di modern americano (vedi, ad esempio, la tecnica creata da Martha Graham).
Sperimentatore radicale (passò attraverso l’espressionismo, il dadaismo, il surrealismo, restando sempre e soltanto se stesso), libero e geniale pensatore, artista poliedrico, creatore di un’ autentica Weltanschauung rispondente a una visione universalistica della danza come espressione connessa al vivere dell’essere umano e al suo rappresentarsi, Laban ha saputo anticipare i grandi temi del nuovo teatro di danza del ventesimo secolo. Ed è sulla strada indicata da Laban che si muove tutta la danza libera centroeuropea.